LA TORRE E LA LEGGENDA DEL CUNICOLO D’ORO
Il simbolo di Terrazzo è una Torre, elemento presente nel gonfalone comunale ed uno degli edifici storici più rappresentativi non solo per il comune ma anche per tutto il territorio. Inserita nel complesso di Villa Bottagisio, Nani-Mocenigo quindi Graziani-Pesarin, venne eretta molto probabilmente agli inizi del 1100, proprio a difesa delle campagne veronesi, in un luogo che, già a quell’epoca, si trovava in una zona di confine posta al limite estremo ad Est del bosco di Porto. Risultava quindi necessario creare delle roccaforti ben difese anche da torri merlate per respingere gli attacchi dei nemici. Così la torre di Terrazzo, divenne un simbolo di libertà e di difesa per molti specie in periodi bui come quelli.
Ed in effetti a Verona, nei primi decenni del 1200, erano divampate lotte furibonde tra fazioni. I ghibellini Montecchi, che erano stati cacciati dai guelfi Sambonifacio, nel 1232 rientrarono in città con l’aiuto di Ezzelino da Romano. Il 1234 fu particolarmente freddo e le varie guerre avevano fiaccato il morale degli abitanti. Ezzelino, uscito da Verona, distrusse Albaredo, quindi lasciò il comando delle truppe a Ruberto de Pii, modenese e podestà di Verona. Questi assediò Legnago e Porto valorosamente difese dal podestà Gracco da Verona (detto Greco Veronese): ma nonostante ripetuti assalti, non riuscì ad espugnarle. Così Ruberto, per vendicarsi dello smacco subito, decise di radere al suolo il forte di Terrazzo, situato a pochi chilometri ad est di Porto. Con un consistente numero di armigeri lo cinse d’assedio, ma neppure questa impresa gli fu favorevole, sia perché trovò il forte ben difeso sia perché venne abbandonato da parte delle truppe e, quindi, dovette ritornarsene a Verona. Ritentò l’impresa qualche anno dopo, con la forza delle armi e anche con quella del terrore. Suoi messaggeri diffusero a destra e a manca l’avviso che i difensori del forte, in assenza di una resa immediata, sarebbero stati passati a fil di spada, il forte spianato, il paese raso al suolo e bruciato. Ma la strenue difesa opposta ancora una volta dal valoroso Gracco da Verona riuscì ad avere la meglio su Ruberto de Pii. Pochi anni dopo la stella di Ezzelino tramontò ma, dall’assedio in poi, la torre di Terrazzo divenne simbolo della fedeltà e della lealtà. Da allora sorsero varie storie legate alla torre ed anche alcune leggende. Una di questa racconta che la torre nasconda un grande segreto; che cioè sotto terra, scorresse un cunicolo, un percorso segreto utilizzato sia come comoda via di fuga in caso di attacchi esterni, ma anche luogo dove i proprietari della torre avrebbero nascosto le loro ingenti ricchezze. Questo cunicolo aveva inizio poco oltre la torre di avvistamento e proseguiva per varie centinaia di metri lungo l’estesa proprietà per poi trovare sbocco in prossimità del fiume Terrazzo. Una leggenda che aveva trovato credito grazie al ritrovamento, avvenuto verso la metà del secolo scorso, di una strana apertura venuta alla luce a seguito di alcuni lavori fatti all’intero della corte. Il cunicolo però era franato e ben poco lasciava intravedere di quella che doveva o poteva essere una via di fuga. Quello che invece è certo è il suo sbocco o presunto tale. Infatti a ridosso del fiume Terrazzo, ad alcune centinaia di metri dalla torre e sotto il ponte di proprietà Cucina-Ferri, è ancora oggi ben visibile un’apertura che in passato fu anche nascondiglio di partigiani. In passato si tentò pure di percorrerlo ma ad un certo punto risultò interrotto a causa di alcune frane e non fu più esplorato. Per la leggenda, il cunicolo racchiude ancora oggi ingenti ricchezze sepolte al suo interno in attesa che qualcuno le scopra.
IL PONTE SULL’ADIGE: UN SOGNO LUNGO OLTRE UN SECOLO
Per centinaia di anni l’Adige è stato croce e delizia degli abitanti del Basso Veronese. Se risultava un’agevole via di comunicazione e di commercio, creava anche non pochi problemi a chi lo doveva attraversare. Esistevano, infatti, tra Legnago e Badia Polesine, solo traghetti. Verso la fine del secolo scorso, il giornale “L’Adige”, in un articolo apparso domenica 14 dicembre 1884, scrisse: “….Se vi ha lungo l’Adige località dove un ponte sarebbe altamente reclamato, è quella certamente fra Carpi e Begozzo (sic) e cioè a metà percorrenza tra Legnago e Badia Polesine. Quivi esiste un miserabile Passo Barca, e in certi mesi dell’anno, si vedono fermi sulle arginature del fiume, lunghe file di ruotabili (carri, carrozze ed altro…) che aspettano il loro turno per riuscire al passaggio con immenso danno di molteplici privati interessi”.
Già allora, quindi, si riteneva indispensabile un ponte a mezza strada fra Legnago e Badia Polesine. Non se ne fece nulla. La questione riesplose intorno agli anni Venti, ma ancora senza risultati.
Durante la seconda guerra mondiale, i bombardamenti distrussero il ponte che collegava Porto e Legnago. Ne fu allestito uno di barche che il Comune di Castagnaro chiese venisse trasferito vicino al proprio “Ponte della Rosta” una volta che fra le due località predette fosse stato costruito quello in cemento armato. Sembrava cosa fatta, ma il costo del trasferimento si rivelò troppo elevato, visto che alla spesa avrebbero partecipato quel Comune e appena qualche altro. Tutto cadde ancora nel dimenticatoio. Tornò a interessarsi del ponte a mezza strada tra Legnago e Badia Polesine il sindaco di Terrazzo, Giulio Panziera, promuovendo incontri, organizzando un convegno, mobilitando gli enti preposti, ma, purtroppo, senza esito. Verso la fine degli anni ‘80, si presentò una interessante occasione: era disponibile un ponte di barche proveniente dal Tagliamento. Costo: 210 milioni, più le basi di sostegno, le rampe d’accesso e qualche altra barca per allungarlo. Completa disponibilità dei Comuni di Terrazzo e Villa Bartolomea, nelle persone dei rispettivi sindaci, Giulio Panziera e Giuliano Pasquin. Ma quel ponte non arrivò mai.
Successivamente, altre Amministrazioni tornarono ad interessarsi del problema: grande l’impegno del nuovo sindaco di Terrazzo, Mauro Ziviani, e del consigliere provinciale, Luigino de Togni. Alcuni comuni, tra i 1995 e il 1996, si proposero di dar vita addirittura ad un comitato “pro ponte”. Nel 1996 la costruzione di un ponte sull’Adige, tra Begosso e Carpi, venne inserita nel piano di interventi previsti dal CIPE (Comitato interministeriale per la programma zione economica), con una spesa preventivata di circa 18 miliardi, su sollecitazione di sette comuni: Terrazzo, Castagnaro, Bevilacqua, Villa Bartolomea e Boschi Sant’Anna, per la Provincia di Verona, e Merlara e Urbana, per quella di Padova. Ma la richiesta fu bocciata, per la mancanza di un progetto vero e proprio. Il ponte è stato perfino oggetto della tesi di laurea di una ragazza veronese, Anna Pozza iscritta alla Facoltà di Architettura di Venezia. Nel novembre 1997 a Terrazzo venne presentato il “progetto di un ponte sul fiume Adige tra Terrazzo e Villa Bartolomea”, finanziato dalla Provincia. Detto progetto avrebbe previsto una struttura a due corsie sostenuta da 5 campate, 3 da 136 metri lineari e 2 da 68, lunga 544 metri, 1.300 con i raccordi, che avrebbe consentito un flusso veicolare di 800/1000 macchine nei momenti di minima, e di 1200/1400 in quelli di massima. La spesa sarebbe risultata di 20 miliardi di lire, comprensivi di espropri e sbancamenti. (33)
Finalmente dopo tanti anni di parole, di incontri, di battaglie, da ricordare la caricatura apparsa su di un giornale nel 1999 del sindaco Mauro Ziviani raffigurato come il crociato Goffredo da Buglione, nel 2004 il sogno è diventato realtà, grazie alla sinergia della Regione Veneto, della Provincia di Verona e di alcuni comuni limitrofi. Il progetto infatti è passato da preliminare a definitivo-esecutivo con una spesa complessiva di € 17.600.000,00. Di questi, 9.000.000,00 provengono da contributi dello Stato grazie ai patti territoriali; 1.550.000,00 da contributi dei comuni sottoscrittori dell’accordo di programma (Castagnaro, Terrazzo e Villabartolomea); 500.000,00 dalla Regione Veneto ed infine 6.550.000,00 da fondi della Provincia di Verona.
I lavori, iniziati nell’aprile del 2005 con l’assegnazione alla ditta vincitrice, prevedono di concludersi nel 2008. Il ponte, antisismico e lungo 690 metri, sarà dotato di 7 campate e si dovrà innestare all’interno della viabilità già presente nel territorio. Infatti nel piano triennale delle opere pubbliche regionali (dal 2005 in poi), nei piani d’area delle Valli Grandi e della Bassa Pianura Veronese, è stato inserito, grazie all’interessamento degli amministratori di Terrazzo in particolare l’ex sindaco Ziviani , un nuovo asse viario che permetta di collegare, in sinistra Adige, il nuovo ponte con la strada regionale n°10 nel comune di Minerbe, mediante l’attraversamento dell’area artigianale Torrano e del nuovo sovrappasso ferroviario di Boschi Sant’Anna. (34)
Le cose si stanno quindi piano piano sistemando ed il sogno cullato per oltre un secolo, già nel 2008 potrebbe diventare realtà con in prima fila il sindaco di Terrazzo e tutti gli amministratori e le personalità coinvolte, presenti al fatidico taglio del nastro che riunirà in maniera stabile e definitiva due sponde di un fiume che da sempre ha visto questa gente unita e coesa sia nei momenti di difficoltà che di gioia.
IL MISTERO DELLA “CONTEA” O DI CAVALLILE
Nella campagna di Terrazzo, tra la frazione di Begosso e il comune di Merlara in provincia di Padova, a poca distanza dal fiume Adige si nasconde il mistero di un antico monastero; il segreto celato per secoli di un complesso sviluppatosi e poi scomparso nei pressi della confluenza di due fiumi. Oggi del monastero rimane solo un piccolo capitello, segno perpetuo di quello che un tempo doveva essere questo antico luogo di meditazione e di preghiera.
Per cercare di capirne di più è necessario fare un viaggio a ritroso nel tempo e tornare gli inizi del primo secolo dopo l’anno Mille. Nel 1136 il duca di Baviera Enrico IV, che aveva ingenti proprietà a Este (Padova), donò ai monaci di Santa Maria delle Carceri (Carceri è un comune in provincia di Padova poco lontano da Este) un ampio terreno detto “contea” o “Cavallile” che dovrebbe oggi collocarsi tra Merlara, Begosso, Urbana e San Salvaro. Su questo terreno, il duca concesse al priore piena e libera giurisdizione e pure il diritto di pesca. A tali donazioni, però, Enrico IV impose un vincolo: quello di fare erigere, da parte dei monaci, una chiesa ed un convento chiamato “Cavallile”. I desideri del signore vennero tutti accolti e dove oggi il fiume Fratta si piega ad angolo e riceve le acque della Fossetta, proprio dove c’è un ponte chiamato “Cavadile”, vennero fatti costruire sia la chiesa che il monastero. Ma da cosa derivava il nome “Cavallile”? Alcuni storici ricordano che nella zona di Castelbaldo, ai tempi dei Romani, venivano allevati cavalli. Nei pressi si trovava, in passato, la località “Stoegarda” che in longobardo significherebbe “allevamento di cavalle”. Questa attività, quindi, avrebbe dato origine al nome Cavallile”.
Purtroppo questa era una zona di confine e spesso, proprio in quei decenni, Padovani e Veronesi erano in lotta per la supremazia su questi terreni. Anche la “contea” fu soggetta alle incursioni delle milizie di entrambi gli schieramenti e le continue scaramucce, gli atti di vandalismo e di saccheggio che troppo spesso portavano il convento a sopportare tali intemperanze, fecero si che, nel 1439, i monaci di Carceri, per colpa della guerra tra Veneziani e il duca di Milano Filippo Maria Visconti, abbandonarono il monastero per rifugiarsi a Padova portandosi appresso persino “i sacri bronzi del campanile”. Anche il convento di Cavallile perse così la propria importanza ed in breve, per difficoltà del cenobio di Santa Maria delle Carceri di Urbana, Cavallile cambiò proprietà passando prima alla Serenissima e, nel 1517, ai Bertoldi di Castelbaldo. Costoro lo conservarono per parecchi anni, e tennero anche aperta al pubblico la chiesa erettavi nel secolo XII dove seppellirono pure alcuni loro famigliari. Chiesa e convento furono abbattuti non molto tempo fa ed oggi, al loro posto, sorge un piccolo capitello, detto capitello Guarise, dedicato a San Nicolò. Al suo interno è racchiusa l’immagine del Santo, un altare e una pietra tombale del 1702, corrosa dal tempo.
PERSONAGGI ILLUSTRI
ü Giulio Panziera, insegnante e sindaco del paese per 35 anni
ü Annibale Cecconi, operatore cinematografico
ü Gastone Archimede Zanarotti, pilota automobilistico
ü Massimo Bubola, musicista, compositore, cantautore
ü Clemente De Togni, coltivatore ed iniziatore della frutticoltura
ü Angelina Pasquale Degani, insegnante e scrittrice
ü Don Antonio Parezzan, sacerdote