DSCF6573 rid

IL CASTELLO PERDUTO

Seguendo il corso dell’Adige scopriamo come molte fossero state le presenze architettoniche di rilievo lungo gli argini: case, dimore padronali, ponti, ma soprattutto castelli o luoghi fortificati che permettevano agli occupanti di controllare l’afflusso delle barche imponendo un pedaggio per il transito.
Bonavigo non era da meno e nel centro del paese, a due passi dall’Adige e poco lontano dal parco comunale, ai tempi di Ezzelino da Romano sorgevano due castelli identificati nell’attuale villa Brenzoni e nel palazzo Morando de’ Rizzoni, purtroppo demolito di recente. I due edifici erano collegati da un passaggio sotterraneo e tra loro cresceva un fitto bosco, abbattuto alla fine dell’Ottocento per lasciar spazio alla piazza del paese. Villa Brenzoni si presenta oggi con un imponente corpo padronale dal quale si innalzano due esili torri che chiudono la parte centrale, e un altro possente corpo a base quadrata leggermente più basso. Villa Brenzoni subì notevoli trasformazioni nel corso del Seicento e fu restaurata, come si legge su un’epigrafe latina posta nelle cantine, nel 1695. Il fronte principale, compreso tra il possente corpo a base quadrata e l’aggettante torretta, presenta una serie ordinata di aperture architravate al piano terra e al piano nobile. In corrispondenza di quest’ultimo, in posizione asimmetrica, vi è inoltre un’apertura ad arco a tutto sesto con piedritti e arco in pietra, caratterizzata da un poggiolo aggettante ed un parapetto sempre in pietra.
Anche dove oggi si trova Villa Fantoni, un tempo vi era un castello. Un luogo “circondato di mura e fossato con una cappella fuori detto castello” che Milone, figlio di Ugone dei Sambonifacio, donò nel 1062 alla chiesa di San Giorgio in Braida a Verona. L’intera corte di Orti fu successivamente donata dal vescovo di Verona ad alcune monache ed infine concessa, nel 1123, ai Canonici di Sant’Agostino. Dalle scarne fonti documentarie si rileva che l’originario castello non aveva solo funzione prettamente militare, ma di corte fortificata con diritto pubblico del cui apparato difensivo, cessate le esigenze, non rimangono tracce. Nel 1668 si provvide ad allungare il corpo padronale verso il cortile con un breve porticato a massicce colonne in cotto intonacato, terminanti con eleganti capitelli ionici e con la costruzione del grande portale bugnato ad arco a tutto sesto. Dal 1685 sino al 1828 i beni di Orti furono posseduti dal monastero di Santa Caterina di Venezia che scelse come propria sede il corpo padronale del complesso.
Attualmente villa Fantoni si presenta con un grande corpo padronale caratterizzato da una serie di aperture rettangolari disposte su tre ordini con cornici e davanzali modanati mentre, sul fronte rivolto verso il cortile, presenta un loggiato continuo in corrispondenza del piano nobile. Sebbene parzialmente murato, il loggiato possiede elementi originari come le colonnine in cotto con capitello in pietra, gli archi a tutto sesto e l’elegante cornicione in pietra modanato. Al pianterreno cinque archi a tutto sesto poggianti su massicci pilastri rettangolari, che si trasformano in contrafforti per il piano superiore, scandiscono la parte sinistra della facciata senza però ripetere la cadenza delle aperture superiori. In corrispondenza del sottotetto piccole aperture rettangolari disposte asimmetricamente e un lungo cornicione modanato concludono la facciata. Internamente la disposizione planimetrica conserva ancora alcune interessanti strutture cinquecentesche, tra cui il porticato ad archi del pianterreno che immette nell’atrio dell’abitazione.
Al corpo padronale si può accedere anche dall’esterno della corte attraverso due interessanti portali ad arco posizionati agli estremi del fronte in corrispondenza dei due ultimi assi di aperture.
Gli edifici, ora abitazioni private, sono visitabili solo esternamente ed hanno perduto buona parte delle loro connotazioni originarie. Posto a due passi dall’argine del fiume Adige, l’edificio è una dimora privata. Lo si può ammirare esternamente mentre parte dell’antico parco è un’area verde ad ingresso libero. Per ulteriori informazioni telefonare al numero 0442 99133.
Bonavigo La ciusara affresco 1

GLI AFFRESCHI BIZANTINI DELLA PIEVE DI SANTA MARIA E “LA DONNA MURATA VIVA”

Nel bel mezzo della campagna tra il centro di Orti di Bonavigo e di Bonavigo, a breve distanza dagli argini dell’Adige, si trova un’antica chiesetta conosciuta con il nome di Pieve di Santa Maria o Ciusara. E’ un luogo di culto che, specie in passato, fu di grande importanza e al suo interno, racchiude misteri e curiosità tra le quali due stupende absidiole affrescate con una tecnica ellenistico-bizantina.
Sono opere che, per la loro impostazione pittorica, non dovrebbero superare la seconda metà del XII secolo e attestano il rapporto della pieve con Venezia e Murano. L’altro elemento che assicura alla chiesa un alone di mistero, è legato a un fatto oscuro e misterioso accaduto prima del 1500 e scoperto solo casualmente poco più di un secolo fa. Durante alcuni lavori di manutenzione eseguiti all’interno della pieve, furono trovate due absidiole per secoli occultate, tutte affrescate e, in quella di sinistra, una volta effettuato il foro nella parete, si scoprì all’interno uno scheletro di donna con a fianco una ciotola. Non si sa di chi fosse quel corpo né quando fu sacrificato in questo barbaro modo, l’unica cosa certa è che l’absidiola fu murata nel XV secolo forse per punire qualcuno che aveva commesso un grave delitto o fosse macchiato da una gravissima colpa. Di quello scheletro non rimane nulla, ma la ciotola viene ancora oggi gelosamente custodita dalle proprietarie.
Il luogo di culto fu in passato un importante punto di riferimento per l’intero territorio. Infatti, si hanno notizie già dall’anno Mille; amministrata dai Canonici Regolari di San Giorgio, poi dai Padri Camaldolesi di San Michele di Murano, ad essi subentrarono, nel 1400, i frati del convento di Santa Maria di Murano che vi rimasero fino al 1768 quando la Repubblica Veneta tolse ai monasteri la cura delle parrocchie di campagna.
Le due absidiole scoperte di recente sono situate ai lati dell’altar maggiore e sono stupende testimonianze di affresco in stile bizantino che documentano l’infiltrazione artistica di questo stile nelle nostre terre. Analizzandole nel dettaglio, possiamo vedere nell’absidiola di destra la figura del Cristo affiancata da due Santi tra i quali San Giorgio con le sembianze di un soldato bizantino; l’impostazione delle figure tutte frontali e la presenza del Cristo privo di barba e benedicente alla maniera greca, portano ad una datazione che non dovrebbe superare la seconda metà del XII secolo.
L’absidiola di sinistra ha, nel catino, la mezza figura di un vescovo benedicente che si identifica con San Gregorio, ai lati sono raffigurati due giovani santi. L’altare principale è, invece, in stile barocco rifatto nel 1705 da Francesco Zanetti e recava un trittico eseguito e firmato da Leonardo da Verona nel 1494.
Con la perdita da parte dei monasteri della cura delle anime, siamo nella seconda metà del 1700, la Ciusara perse la sua importanza; Bonavigo ebbe un parroco del clero diocesano e divenne parrocchiale con una nuova chiesa posta nel centro del paese. Il convento fu così soppresso e con esso tutti i suoi beni incamerati dal demanio.
La pieve di Santa Maria esternamente presenta una facciata a capanna con archetti pensili che accompagnano l’inclinazione degli spioventi dell’edificio interamente visibili sul lato destro ma interrotti su quello sinistro dalla torre campanaria inserita nella facciata della chiesa che termina con una cella a bifore sorrette da colonnine in pietra.
L’austero ed elegante portale è databile al XV secolo. L’interno, ad aula unica, è coperto da tetto a capriate lignee. L’abside è affiancata da due piccole absidiole che recano pitture ad affresco di notevole importanza per la loro antichità. Interessante è pure un fonte battesimale che porta scolpiti tre stemmi sovrastati da mitrie, e uno di questi ha raffigurate due colombe che immergono il becco nel calice.
exvoto2 www sagrasantomaso com

GLI EX VOTO DI SAN TOMASO

A Bonavigo si trova, appollaiata lungo gli argini del fiume Adige, la più piccola chiesetta-santuario della provincia di Verona. Un luogo di culto molto venerato dai fedeli che hanno, verso la Madonna di San Tomaso, un affetto particolare.
Una delle curiosità che contraddistinguono il santuario, è la presenza di tavolette votive che i fedeli portavano nel luogo di culto per grazie ricevute. In antichità esse ricoprivano le pareti della chiesetta, oggi ne sono rimaste 52 conservate in un luogo sicuro, dipinte ad olio su tavolette di legno di buona fattura. Solo tre di esse hanno uno stile diverso che è quello a penna acquerellata su carta applicata. Era una forma di religiosità mista ad una forma d’arte del tutto particolare che nel 1900 va ad esaurirsi trasformandosi in simboli anonimi e per nulla artistici quali cuori in ottone dorato o argento. Nei secoli antichi però il gusto e la qualità dell’artista hanno fatto giungere fino a noi delle vere e proprie opere d’arte espressione più vera della religiosità popolare quale vera espressione di fede, racchiuse in piccoli e semplici rettangoli votivi. Buona parte degli ex voto della chiesetta di San Tomaso si distribuiscono in un arco di tempo che va dalla fine del 1600 fino a tutto il 1800.
Analizzando la storia delle tavolette votive, le prime apparvero agli inizi del 1500, dipinte prevalentemente in tavolette d’abete spesse due o tre centimetri. Non sono rare anche delle tavole molto più grandi, dei veri e propri quadri dipinti su tela ed essi, a seconda del periodo storico in cui vengono realizzati, determinano connotazioni tipiche dell’arte pittorica del tempo; molto belli ed accesi all’inizio per divenire progressivamente sempre più cupi e bui nel 1500 e ritornare con colori accesi dalla fine del 1700 in poi. L’Ottocento molto più sommarie e rustiche anche se piacevoli da vedere.
Nelle 52 tavolette votive presenti nel piccolo santuario di Bonavigo, i miracoli maggiormente raffigurati sono legati alle guarigioni di malattie. Interessanti e vari anche gli ex voto dipinti dopo una scampata morte specie sui fiumi, numerosi e pericolosi in tutto il Basso Veronese. Belli anche quelli legati agli animali e alle persone miracolate dopo essere state travolte da cavalli, tori, mucche, o somari imbizzarriti. Sono momenti di vita nomale, che vedono la gente comune ringraziare per aver avuto salva la vita. Ecco quindi come il contadino travolto dai buoi o il barcarolo a cui si rovescia la baca, o il bottaio salvatosi per miracolo dai barili che rischiavano di schiacciarlo o l’uomo caduto da una rama spezzata di un albero, rappresentano la vita di tutti i giorni con le difficoltà di ciascuno, le gioie e i dolori della gente comune. Con gli ex voto di San Tomaso, la Madonna viene sentita particolarmente vicina ed è vista come Madre misericordiosa e clemente; il suo è un amore infinito e con l’uomo ha condiviso la sofferenza e il dolore ma a lui è altrettanto vicina nel conforto e nella speranza.
coltro

PERSONAGGI ILLUSTRI

Dino Coltro

Dino Coltro è nato il 2 novembre 1929 a Strà di Coriano, frazione di Albaredo d’Adige (Vr), ma la sua giovinezza e la sua formazione resta legata al Pilastro, frazione di Bonavigo, una tipica corte della Bassa Veronese dove abitò dalla prima infanzia fino agli anni Cinquanta del secolo scorso. Avviato al lavoro salariale, riuscì con l’impegno dell’autodidatta a diventare maestro e, dal 1970 al 1990, è stato direttore didattico a San Giovanni Lupatoto. Con l’insegnamento iniziò anche la sua attività sociale nell’Acli, promuovendo numerose cooperative agricole e partecipando alla vita del movimento come dirigente provinciale, regionale e nazionale. Ha dedicato gran parte della sua vita allo studio delle antiche tradizioni popolari veronesi e venete, pubblicando una trentina di libri e il famosissimo “Lunario Veneto”.
Per il suo lavoro ha ottenuto vari riconoscimenti, tra cui il Premio Sirmione-Catullo, la Medaglia d’Oro del Presidente della Repubblica al merito educativo e culturale e la laurea honoris causa in Scienze della Formazione, ricevuta nel 2005 dall’Università di Verona.

Le sue pubblicazioni:

Lèori del socialismo (1973) – Sloti de tera (1977) – Leggende e racconti popolari del Veneto (1982) – Paese perduto (1982) – Un proverbio al giorno (1985) – Fole lilole (1987) – Cante e cantàri (1988) – Stagioni contadine (1988) – L’Adige (1989) – Piero Bailon che con on giro de baile girava on campo (1989) – La nostra polenta quotidiana (1990) – Il temporario (1993) – Santi e contadini (1994) – Parole perdute (1995) – Il parlar adesante (1996) – Memoria del tempo contadino (1997) – L’altra cultura (1998) – L’altra lingua (2001) – La cucina tradizionale veneta (2002) – Dio non paga al sabato (2004) – Rivalunga (2004) – Quatro ciacole con Barbarani (2006) – Gnomi, anguane e basilischi (2006) – La terra e l’uomo (2006).

Aleardo Aleardi

Poeta nato a Bonavigo nel 1812. L’Archivio parrocchiale conserva un documento dove è detto che la famiglia Aleardi possedeva a Bonavigo una villa ove trascorreva i periodi estivi e dove vide la luce il piccolo Aleardo.