LA PARROCCHIALE DI SANGUINETTO
Tra i grandi artisti che tra la fine del XIX secolo e la prima metà del XX secolo si segnalarono per capacita pittorica e qualità nel proprio lavoro, un occhio di riguardo merita il pittore veronese Gaetano Miolato. A chiamarlo a Sanguinetto fu il parroco don Antonio Romagnoli che commissionò all’artista veronese un articolato ciclo d’affreschi. Era il 1925 e Miolato vantava già alcuni importanti incarichi sia a Roma che a Genova. Nella chiesa di Sanguinetto realizzò 14 grandi affreschi prendendo spunto dal martirio di S.Giorgio, patrono della parrocchiale mentre, per le altre opere, ebbe come riferimento sia il pittore cinquecentesco Moretto (Ultima Cena) sia l’Ugolini per la Via Crucis, lasciando trasparire, in entrambi i casi capacità interpretativa e creatività.
Il ciclo decorativo della parrocchiale, prende avvio dal catino absidale dove il pittore ha raffigurato il martirio di S.Giorgio patrono della parrocchiale. Il grande affresco, dal titolo “Il martirio di S.Giorgio”, rappresenta un’opera penetrante e solenne con un sapiente gioco di luci e colori specie nella schiera degli angeli apparsa in visione al santo. Il motivo delle schiere di angeli che sovrastano le figure principali delle opere di Miolato, sono un elemento fortemente presente anche in altri lavori realizzati dall’artista come nella chiesa di Villa d’Adige dove l’intera raffigurazione è “osservata dall’alto” da tanti angeli che, secondo la tradizione locale, si vuole abbiamo i visi e gli sguardi dei bambini del luogo. Tornando all’opera di Sanguinetto, ai lati dell’altar maggiore si trovano altri due affreschi dello stesso artista quali “La Moltiplicazione dei pani” in “corni Evangelii” e, sull’altro lato, l’“Ultima Cena” ispirata ad un’opera dipinta dal Moretto, pittore bresciano conosciuto in zona. A completare l’intera zona presbiteriale, troviamo le decorazioni realizzate dal Miolato nelle quattro vele della volta. In esse sono raffigurate le effigi di quattro profeti dell’antichità quali: Davide, Ezechiele, Isaia e Zaccaria. L’opera di abbellimento dell’artista veronese si completa con le quattordici stazioni della Via Crucis, ispirate al pittore Ugolini ma autonome sia come costruzione sia come capacità interpretativa che avvolgono con un piacevole gioco di colori, l’intera navata centrale della parrocchiale di Sanguinetto.
Il progetto originario studiato dal Miolato, prevedeva non solo il ciclo decorativo interno ma anche la decorazione della facciata con due scene ispirate alla vita di Cristo (Gesù che entra nella casa di Zaccheo e la cacciata dei Mercanti dal tempio) e una all’antico testamento (La scala santa nel sogno di Giacobbe). Non vennero mai realizzate vuoi per una scelta estetica volta a non appesantire la facciata, vuoi per mancanza di soldi o di tempo.
Il pittore Gaetano Miolato nacque a Verona nel 1885. Dopo aver frequentato dal 1901 al 1906 l’Accademia Cignaroli, iniziò a partecipare a concorsi e a premi. Nel 1909 eseguì il fregio del Salone della Borsa nel Palazzo della Gran Guardia a Verona mentre, l’anno successivo, portò a termine la decorazione della Sala Pisanelliana per l’Esposizione di Roma. Dal 1913 venne nominato socio dell’Accademia Cignaroli divenendone nel 1945 socio onorario. Decorò la villa dei conti Guarienti a Punta S.Vigilio mentre dal 1914 al 1916 fu impegnato nell’esecuzione di quattro grandi pannelli ad olio di contenuto storico, da collocare nella Banca d’Italia a Genova dove rimase ad insegnare per alcuni anni. Una volta tornato nella sua Verona, fu docente di disegno e pittura presso la Scuola d’arte di Castelnuovo. Tra i suoi lavori da ricordare nel 1923 il restauro della Loggia di Fra’ Giocondo; nel 1931 il restauro di alcuni affreschi a S.Zeno; nel 1932- 1933 l’esecuzione di affreschi nel catino absidale e sulla volta della navata di S.Eufemia e affreschi in San Giovanni in Foro. A Sanguintetto giunse nel 1925 chiamato ad impreziosire la parrocchiale.
Un’altra serie di affreschi realizzati nel 1946 da Gaetano Miolato si trova nella parrocchiale di Terrazzo, intitolata a San Paolo. L’intero presbiterio è affrescato con scene raffiguranti episodi della vita dell’Apostolo: Predicazione in Atene; Prigionia in Gerusalemme; Partenza da Cesarea; Tempesta nel Mediterraneo; Arrivo a Roma; Martirio. I dipinti, sono il risultato di un voto fatto dai parrocchiani per la conclusione della seconda guerra mondiale. Un altro magistrale lavoro il Miolato lo realizzò nella parrocchiale di Villa d’Adige frazione di Badia Polesine.
Per i critici Gaetano Miolato ha saputo dare vita ad un linguaggio originale, penetrante e solenne. Attento studioso della pittura cinquecentesca riuscì a rendere con grande intesità, i motivi della pietà che si fondono con ricerche figurative nuove grazie ad un sapiente gioco di luci e colori della schiera degli angeli apparsa in visione al santo. Sue opere si trovano a Rosegaferro, Dossobuono, Brentonico, Giazza, Boscochiesanuova. Importanti sono pure i lavori svolti in varie chiese della provincia di Cremona e in Lombardia: Bozzolo, Cassano d’Adda, Buzzoletto, Pomponesco, Ossolaro, Vighizzolo, Agnadello, Roncadello, Si dedicò, con un certo risultato, oltre che alla pittura ad olio, anche all’acquerello. Praticò incessantemente la propria attività artistica fino agli ultimi giorni di vita; Gaetano Miolato si spense nel 1960.
GLI AFFRESCHI SEICENTESCHI DELL’EX CONVENTO DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE
A pochi passa dal castello di Sanguinetto, attuale sede municipale, si trovano la chiesa ed il convento di Santa Maria delle Grazie. Poche e frammentarie sono le notizie in merito sia all’erezione dell’edificio di culto sia, soprattutto, del convento ad esso annesso. Nonostante le tante difficoltà vari elementi ci portano comunque a ritenere che la chiesa sia stata eretta nei primi anni del ‘600 e gestita fino al 1769, dai frati Minori. La più antica lapide sepolcrale, fra quelle incastonate nel pavimento della chiesa annessa al convento, venne infatti disposta dai fratelli Antonio e Paolo Bravardi nel 1609 mentre un altro sepolcro, voluto da Francesco Monte, porta la data del 1611. Nel 1622 la stessa chiesa veniva beneficiata con il dono di una attigua pezza di terra da parte del canonico padovano Francesco Lion, con obbligo per i frati di celebrare alcuni uffici ed messa perpetua annua. Già agli inizi del 1600 si parla del convento e, nel 1630, di una sua sistemazione ed ampliamento.
Il complesso si trova lungo la strada principale del paese e fu gestito dall’ordine dei frati Minori Osservanti più comunemente conosciuti come Zoccolanti che nel territorio avevano più di un convento. La struttura, collegata alla chiesa da cui prese il nome, è a pianta quadrata con un chiostro centrale dove spicca un’artistica vera da pozzo e dove, attorno gli archi che delimitano il cortile interno, si snodano le stanze dei frati, il refettorio, la dispensa e gli altri spazi per i monaci.
Di grande interesse per la nostra ricerca, sono varie lunette affrescate in gran parte venute alla luce di recente, poste sia all’interno del chiostro che nel refettorio dell’ex convento francescano di Santa Maria delle Grazie tornate a risplendere grazie ad un sapiente restauro dell’intero complesso conventuale. Per secoli infatti a causa di successive intonacature, testimonianza di vari rifacimenti a cui venne sottoposto il convento, gli affreschi che abbellivano l’interno convento, rimasero occultati e nascosti ai più. Oggi, il lavoro certosino eseguito da mani esperte, è riuscito a riportare all’antico splendore questa nuova serie di dipinti riconducibili alla fine del 1600. Ad aiutarci nella ricerca per dare una sicura datazione, è stata la comparsa di un graffito venuto alla luce sopra l’intonaco della parete che collegava cucina e refettorio dove si riesce a decifrare, fra le altre cose, la data del 1638. Un’altra iscrizione vicino alla prima, richiama la data del 1678 mentre nelle lunette affrescate del chiostro si possono vedere le date 1670 nella prima e nella seconda lunetta e quella del 1672 nella terza. Possiamo quindi presumere che già verso la metà del Seicento l’edificio doveva apparire nella sua interezza nel quale operavano forse 12 frati visto che le celle in un disegno dell’epoca erano 13. La nostra attenzione comunque più che sul complesso edilizio, si sposta sugli affreschi e su quello che loro ci hanno rivelato in sede di restauro. Già prima degli interventi si ricorda come alcune tracce di affresco fossero visibili come quella raffigurante Cristo e a Samaritana al pozzo dipinto su di una parrete dell’ala Sud; ma i ritrovamenti più interessanti sono quelli oggi visibili, recuperati in alcune lunette del chiostro e nel refettorio.
Ad intervento concluso è possibile definire che il ciclo pittorico di Sanguinetto potrebbe essere ascritto alla seconda metà del 1650. Secondo una tradizione ormai consolidata per i conventi francescani, di solito questi venivano affrescati con storie di San Francesco e di Sant’Antonio di Padova dove erano narrate la vita e i miracoli. Ecco quindi come anche nel nostro chiostro appaiano “La vestizione di Sant’Antonio da frate minore” o, nel refettorio, quella di “San Giovanni da Capestrano”. Analizzando il lavoro degli studiosi comprendiamo come vi sia una certa differenza nei cicli recuperati a Sanguinetto dove la pittura delle lunette appare molto più modesta rispetto a quella presente del refettorio. Per impreziosire l’intero complesso potrebbero quindi aver lavorato autori diversi probabilmente del luogo o dei paesi vicini. Per un’analisi più dettagliata il chiostro, impreziosito da uno splendida vera da pozzo ottagonale del XVII secolo, realizziamo che esso doveva essere abbellito da bel 26 lunette raffiguranti episodi e miracoli di Sant’Antonio da Padova santo molto amato dal popolo e dai frati Minori. Delle 26 originarie, oggi ne rimangono solo 4 tre sulla parete est ed una nella parete nord. Le lunette raffigurano “La nascita di Sant’Antonio, Il battesimo di Sant’Antonio, la Vestizione da frate minore e La burrasca nel mare”. Le pitture non appaiono realizzare da una grande mano artistica e ricordano più degli ex voto che delle vere e proprie pitture d’affresco. Si può forse ipotizzare un collegamento con il mondo artistico dei Muttoni mentre non è escluso che all’epoca esistessero dei grandi cartoni utilizzati da vari artisti per eseguire in luoghi diversi analoghe storie dei due santi. A completare questo bel chiostro troviamo, sopra l’ingresso, troneggiare l’emblema francescano.
Discorso diverso invece per il refettorio impreziosito da 19 lunette ricavate dalle 22 vele del soffitto. Dipinte ad affresco, raffigurano santi, sante, protomartiri francescani e l’Annunciazione. Anche in questo caso il valore artistico non risulta di grande spessore ma tali figure si differenziano sensibilmente da quelle viste nel chiostro. Partendo dalla parete ovest e proseguendo in senso orario troviamo: l’immagine di San Giovanni da Capestrano con il vessillo crociato; San Giacomo della Marca; San Pietro d’Alcantara anche se questa lunetta è stata compromessa con un rimaneggiamento successivo; San Bernardino; San Bonaventura; Sant’Antonio da Padova e San Francesco oltre a San Lodovico da Tolosa. Le due lunette centrali della parete di fondo raffigurano invece l’Angelo annunciate e la Madonna annunciata. A destra si trova poi un santo il cui nome è illeggibile che però dovrebbe essere San Diego d’Alcalà venerato come patrono speciale dei frati minori. Curiosa e particolare poi la parete orientale con alcuni “martiri del Marocco” identificabili come San Berardo o San Ottone (la prima lunetta è poco ricostruibile), San Pietro Martire, Sant’Adiuto, Sant’Accursio. A concludere la serie di affreschi vi sono infine quattro lunette della parete d’ingresso dove sono raffigurati: San Salvatore da Horta, San Pasquale Baylon e, al centro, due sante quali Santa Chiara e Santa Margherita da Cortona particolarmente venerate dai francescani.
L’ORATORIO DELLE TRE VIE A SANGUINETTO
Ti accoglie maestoso, lungo la strada che da Cerea porta verso Nogara. Si chiama Oratorio delle Tre Vie e la fede e la devozione verso questo luogo di culto, hanno accompagnato la vita degli abitanti di Sanguinetto per centinaia d’anni.
Eretto nella prima metà del 1700, è a forma circolare e vuole sottolineare la funzione di importante crocevia che vede proprio davanti all’oratorio intersecarsi tre vie che immettono in paese. Già nel 1742 si ha traccia di una prima richiesta rivolta dal parroco di Sanguinetto ai giurisdicenti il feudo, per avere una concessione per innalzare, su un terreno di pubblico dominio, una “decente chiesuola dedicata alla Madonna”. In quell’occasione il conte Francesco Lion, patrizio padovano e Signore di Sanguinetto, non tardò a concedere l’ autorizzazione, ma qualche imprevisto dovette ostacolare i propositi. A distanza di quattro anni, l’iniziativa riprese corpo con la petizione a Monsignor Bragadino che così diceva: “Bramando la Comunità di Sanguinetto di questa diocesi di erigere una pubblica Chiesa, o sia pubblico Oratorio in onore della Gran Madre di Dio in quel luogo dove è venerata una di Lei devota immagine dipinta in un Capitello sopra la pubblica strada di detta terra, ed in tal modo impiegare le limosine, che in onore di Maria Vergine sono state fin’ ora e saranno da qui innanzi offerte da devoti di codesto luogo e de’ luoghi circonvicini, che frequentemente accorrono a venerar detta Immagine, ricorrono pertanto li Consiglieri di detta Comunità a piedi dell’Ecc.za V.R.ma, acciò si degni concedergli benigna facoltà di poter far erigere la Chiesa suddetta atteso massime che dalli medesimi è stato ottenuto il consenso degli Nobb. HH. Iuridiscenti di detta Terra, atteso anche la promessa, che fanno che in ogni tempo e caso saranno sempre mantenute illese, e ilibate le ragioni del Gius Parrocchiale e che la detta Chiesa sarà fabricata a tenore delle canoniche istituzioni”.
Con questo atto formale, i consiglieri della comunità di Sanguinetto, il 28 febbraio 1746, si rivolgevano al Vescovo di Verona Monsignor Giovanni Bragadino per ottenere l’ autorizzazione ad erigere la chiesetta della Rotonda, nota pure come “Oratorio delle tre vie” o della “Beata Vergine di Capodisotto”.
Una lettera successiva, datata 6 marzo 1746 e stilata dal curato Giuseppe Michali, venivano pure sciolti gli ultimi dubbi del vescovo circa l’ opportunità di erigere il nuovo luogo di culto sulla pubblica via. I lavori potevano quindi avere inizio e, alla fine d’ottobre dell’ anno seguente l’ erezione della fabbrica volgeva già al suo termine e, circa un mese più tardi, il 24 novembre 1747, l’arciprete vicario foraneo di Cerea dava notizia al Vescovo d’averla visitata e “ritrovata compita col suo altare provveduto di portatile di misura canonica, e provvedimenti e suppellettili tutti necessari per esso e per la sua sagrestia contigua”.
E’ interessante sottolineare l’originalità architettonica del tempietto: originalità dovuta alla mano di un architetto di tutto rilievo, il conte Alessandro Pompei (1705-1772). Pittore, architetto e trattatista, Pompei rappresenta una delle figure tra le più interessanti del panorama architettonico del Settecento veneto. Impegnato nella realizzazione del tempietto, il luogo di culto risulta già concluso nel 1747.
La costruzione a pianta circolare, già cara alla tradizione cinquecentesca, richiama immediatamente la predilezione verso quelle forme geometriche elementari come il triangolo, il quadrato e il cerchio che diverranno tipiche del repertorio neoclassico scelta in questo caso per la particolare posizione del luogo di culto come punto d’ intersezione di tre strade.
Parlando del luogo di culto, esternamente colpisce la particolare struttura di questo tempio chiamato amichevolmente da molti con il nome “La Rotonda”. In alcuni dipinti settecenteschi è possibile notare come da allora l’aspetto esteriore sia rimasto pressoché intatto. Accanto all’alto e slanciato campanile, che sembra essere stato eretto in un momento successivo molto probabilmente verso la fine del settecento e la cui struttura è con pina a cipolla, interessante è il tempietto a forma circolare con le tre porte caratterizzate da due capitelli ciascuna e da un frontoncino. Un tamburo sovrasta tutto il tempietto.
Internamente la volta a cupola ribassata e dipinta a finti lacunari, dà al luogo un senso di spazialità e di stacco verso l’alto. Un altare di periodo tardo barocco, incornicia la nicchia con la venerata immagine secentesca della Beata Vergine affiancata da San Francesco d’ Assisi e da un altro Santo. Era questa l’immagine venerata, un affresco seicentesco, che si trovava nell’antico capitello presente in questo luogo prima dell’erezione dell’Oratorio delle tre vie. Varie paraste incastonate tutt’attorno le pareti, danno all’interno del luogo un sapore di signorilità al luogo di culto. Qualche altro accenno tardo barocco e rococò de “La Rotonda”, lo si può cogliere nella decorazione pittorica che orna il presbiterio e l’ordine ionico interno come ben traspare dal motivo della conchiglia immediatamente sotto il capitello.
La chiesa della Beata Vergine Maria in Venera
Fino alla metà del 1900, al centro del paese c’era soltanto un ottocentesco capitello, con all’interno una antica statua in pietra della Madonna col Bambino. Nei primi decenni del 1900 gli abitanti di Venera pensarono di dare una chiesa al loro paese ed alcune donne cominciarono una “questua” e con la somma ricavata fu acquistato un terreno ed iniziati i lavori di costruzione di una cappella, come ricordo e monumento ai caduti della grande guerra. Ma i lavori furono interrotti su segnalazione dell’allora parroco di Sanguinetto, perché tale costruzione si presentava troppo grande. Questa interruzione rimasse in piedi fino al 1958, quando iniziarono i lavori di costruzione dell’attuale chiesa (11 agosto 1958).
Così, gli abitanti di Venera chiedono al Vescovo di Verona, Mons. Giovanni Urbani, di diventare parrocchia con una propria chiesa, per avere i servizi religiosi in paese, vicini alle proprie case, ma soprattutto perché si sentivano uniti fra loro. La sera del 7 dicembre 1958, con una suggestiva processione, fu traslata la grande statua della Madonna dall’antico capitello (ora demolito), attraverso via Capitello, via Faval e via Venera, fino alla chiesa. La statua della Vergine è in tufo dipinto e risale tra il 1380 e il1420, ritta in piedi mentre regge delicatamente in braccio il bambino Gesù, che ha in mano un piccolo rondinotto, ricordo forse di qualche pittoresca e antica storia narrata nei Vangeli apocrifi, ma dell’autore non si ricorda né nome né provenienza. Secondo la tradizione l’immagine fu donata dagli abitanti di Sanguinetto a quelli di Venera per ringraziarli del generoso contributo dato durante la costruzione della Chiesa parrocchiale di Sanguinetto nel 1800. Probabilmente, prima di arrivare a Venera, la statua di Maria Regina si trovava a Sanguinetto, dove era però venerata con il nome di Madonna della Cintura, indicata anche da una curiosa fascia scura che stringe il vestito di Maria. Tale immagine, ora chiamata Beata Vergine Maria Regina rappresenta quindi il momento più solenne e glorioso della vita di Maria ed è ora oggetto di venerazione sopra l’altare maggiore della chiesa.