La morbida salsa denominata pearà, è considerata tra le specialità più tipiche della cucina veronese. Ad essa è legata una leggenda tipica della nostra terra che la vede trovare un posto di riguardo nelle vicende di re Alboino e della sua sposa Rosmunda.
Nella seconda metà del VI secolo, l’Europa e l’Italia in particolare, attraversavano un periodo di profonda confusione. Quando Rosmunda nacque, in Pannonia (la parte occidentale dell’attuale Ungheria), suo padre Cunimondo, re dei Gepidi, era in guerra con Alboino. Nel 567 Cunimondo cadde in battaglia e Alboino divenne re di entrambi i popoli. Per consolidare questo forzato legame, decise di sposare Rosmunda pur essendo egli già ammogliato; si trattò di un matrimonio senza amore e Rosmunda fece di tutto per rendere le cose difficili ad Alboino. La nuova regina comunque dovette seguire nel 568 il re Alboino in Italia e fu proprio nella nostra città e forse nella nostra provincia, che ella decise di organizzare una congiura per eliminare Alboino aiutata da un nobile del seguito regale e suo amante, Elmichi. Secondo la leggenda in una notte del 572, dopo un’abbondante cena nella reggia di Verona che era appartenuta al re ostrogoto Teodorico, Alboino volle bere del vino da una coppa ricavata dal cranio di Cunimondo costringendo la moglie a fare altrettanto. Rosmunda allora pensò bene di vendicarsi e dopo aver reso inutilizzabile la spada del marito in vista dell’arrivo dei congiurati legandola al fodero della stessa, permise ad Elmichi di uccidere l’odiato Alboino che fu costretto a difendersi solo con una sedia.
Il tentativo, secondo gli storici, fu quello di usurpare il trono di Alboino con l’appoggio di parte dell’esercito e del governo di Bisanzio, ma fini miseramente per la resistenza della maggior parte del popolo longobardo. Rosmunda comunque riuscì a fuggire con Elmichi e con il tesoro a Ravenna mentre i Longobardi elessero re Clefi. Per i due amanti però Ravenna divenne la loro tomba; infatti dopo essersi sposati finirono ben presto per odiarsi e Rosmunda tentò di avvelenare a sua volta Elmichi. Questi però, bevuto un sorso dalla coppa avvelenata, si rese conto dell’inganno e obbligò Rosmunda a bere a sua volta.
Sulla nostra salsa, la leggenda vuole che con la “peverada” un cuoco di corte riuscì a far tornare l’appetito a Rosmunda dopo la bevuta impostale da Alboino. Infatti Rosmunda dopo essere stata costretta a bere dal cranio del padre, si rifiutò di mangiare e bere qualsiasi cosa. Per superare questo tremendo momento ci volle un cuoco di corte che elaborò una salsa morbida e gustosa, con quella punta di pepe che ne esalta le caratteristiche, da accostare ai classici tagli di carne che si usavano all’epoca. La regina ne rimase entusiasta e l’appetito tornò alla regnante grazie all’inventiva di quel cuoco. La “peverada” è la più famosa salsa veneta e si prepara con brodo, spezie, pangrattato, burro, salumi, molto pepe; e ne esistono alcune varianti: ad esempio a Verona viene utilizzato il midollo di bue mentre a Treviso il fegato d’oca e di lepre.
Oggi la pearà non può mancare nelle tavole dei veronesi nei giorni di festa ed è introvabile al di fuori dell’area veronese, forse per la difficoltà di preparazione o forse perché i veronesi sono gelosi di questa prelibatezza. Forse perché in ultima analisi, essa è il frutto di una somma di consuetudini di gusto tipica e probabilmente esclusiva, di queste zone.