I terreni vallivi del Basso Veronese, un tempo non erano tali, poiché vi sorgeva una grande città circondata da sette ordini di mura merlate e difesa da 100 torri altissime. Sorgeva su una bassa ed appiattita collina, e tutt’attorno scorrevano fiumi e fossi d’acqua, regolati da dighe e chiaviche. Alle spalle della città, un lago serviva a contenere le acque disordinate che vi affluivano in modo da regolare il flusso dei vari fiumi. “Maestosa ed opulenta, era una vera e propria metropoli con una porta a Castagnaro, una seconda al Bastione San Michele, una terza a San Pietro in Valle ed una quarta a Casaleone; vale a dire lunga e larga quanto la valle”. Scriveva così Colombini nel 1949 ma la leggenda di Carpanea anche oggi, a distanza di secoli, continua a perdurare con il fascino e il mistero di un tempo.
La storia legata ad essa e alla sua scomparsa, è affascinante e tragica allo stesso tempo. L’ultimo re di Carpanea, avendo oltraggiato il dio Appo, venne detronizzato dai sacerdoti che lo costrinsero a vivere in solitaria prigionia. Il dio Appo rappresentava l’onda incatenata a ricordo della titanica opera degli uomini che erano riusciti a raccogliere in un bacino le acque sovrabbondanti e impetuose dei fiumi senza argini che minacciavano di sgretolare la collina sulla quale sorgeva la città. Il re portava giornalmente al tempio splendidi doni, seguito dal popolo che faceva altrettanto. Li lasciava ai piedi della divinità e, dopo aver pregato, tornava alla reggia. Con il tempo però si rese conto che così facendo avrebbe sempre più arricchito i sacerdoti che diventavano, giorno dopo giorno più potenti e influenti. Così un mattino il re decise di non andare al tempio con i doni e lo stesso fece il popolo. L’azione fu ripetuta anche i giorni seguenti. I sacerdoti, comprendendo che quest’atto significava la loro fine, organizzarono una sommossa, facendo arrestare il re artefice dell’oltraggio. In prigione il sovrano meditò la propria vendetta; una notte, che i guardiani si addormentarono, fuggì e riuscì a penetrare nel tempio. Rapì la statua del dio e corse verso il lago, ma i sacerdoti, accortisi del furto, diedero l’allarme scatenando la folla contro il sovrano. Vistosi perduto, il re gettò la statua nel lago e si nascose nel bosco, ma parte della folla, vedendo l’immagine inghiottita dalle onde, si gettò in acqua per recuperarla affogando miseramente. Altri cittadini, presi dal panico, corsero ad aprire le dighe per salvare i malcapitati sommersi dalla furia delle onde, ma le acque impetuose dilagarono verso la collina, inondando il terreno circostante inghiottendo il popolo di Carpanea nei loro vortici. Il re, dall’alto del tempio, vedendo tanta rovina fu preso dalla disperazione e afferrata la corda dell’unica campana, cominciò a suonare nel disperato tentativo di chiamare la folla sulla collina. Anche il tempio, ormai eroso dall’impeto delle acque, sprofondò nei gorghi.
Alcuni studiosi, rifacendosi a mappe e disegni antichi ritengono che potesse trovarsi fuori della zona paludosa e, quindi, nella valle tra il Tregnone, il Tartaro e il canale Castagnaro.
Ma anche nel mantovano, a Ovest dell’abitato di Villimpenta, vi è una località chiamata Carpanea così come esiste un’affinità tra Carpanea e il nome del paese di Carpi di Villa Bartolomea.
L’esistenza di una città sepolta nelle valli che adorava il dio Appo, è solo leggenda. Si ritiene invece che i tanti ritrovamenti di oggetti preistorici e romani nella zona delle valli si possano ricondurre alla presenza di numerose “domus” rustiche, con annessi tutti i servizi sia per la conduzione dei terreni sia per le attività industriali come fabbriche di laterizi con fornaci. La città sepolta di Carpanea rimane quindi solo una leggenda che si riscontra, per similitudine in altri luoghi d’Italia, mentre sono autentici i ritrovamenti nelle Valli Veronesi, così come i paesi, o le località con i nomi di Carpi o Carpanea o Carpanedo, inizialmente riferiti a una selva e poi, nel Medioevo, ad una corte.
Attualmente, chi percorre, verso sera l’argine della Valle può udire nel silenzio della natura il pianto disperato degli abitanti di Carpanea, che sale dal profondo della terra. Inoltre, nella notte di Pentecoste, al pianto si aggiunge il lugubre suono a martello della campana che aleggia sospeso a un palmo dal suolo e si spande funereo per le Grandi Valli Veronesi.